martedì 10 dicembre 2013

Svegliati nonno, si va in Turchia.


Le campagne pubblicitarie delle compagnie aeree sono sempre una categoria a parte: raccontano molto sia della compagnia, sia della bandiera che rappresentano. Prendiamo i due nuovi spot delle compagnie di bandiera turca e italiana. Mio nonno, scongelato dopo un'ibernazione di diciamo trent'anni, messo davanti a un televisore per la durata dei due spot e poi prontamente ricongelato, si troverebbe davanti a due prodotti opposti e a due comunicazioni distanti anni luce. Questa è la pubblicità della Turkish Airlines, da tre anni di fila premiata come migliore compagnia aerea d'Europa. Uno scenario quasi impensabile, quando il nonno si addormentò.


Sì, dovrei passare qualche ora a spiegargli cosa sia una selfie, chi siano Kobe e Messi, quali siano le economie emergenti, come la Turchia ce l'abbia fatta (anche se le restano i suoi problemi), e una serie di cose che alla fine capirebbe prima di tornare felice nel suo cubo di ghiaccio. Ma penso si divertirebbe perfino lui, e concorderebbe che volare con i turchi ha un suo perché. 


Nessuno sforzo invece dovrei fare per spiegargli la nuova campagna di Alitalia, perché qui tutto è rimasto come ai suoi tempi: congelato. Immagini al ralenty, sogni d'oro nelle poltrone-letto, bambini che toccano i pulsanti del pannello di controllo dell'aereo (forse anche il temibile "eject pilot"), fotografia color seppia, musica color-Coldplay. Insomma tre spot fatti con il pilota automatico, che ci pongono due o tre gradini sotto la Turchia, o quantomeno sotto la loro linea aerea nazionale. Peccato perché oltretutto una campagna vera come quella di Messi-Kobe è esportabile in tutto il mondo, con conseguente guadagno di immagine per tutto il Paese, mentre quella di Alitalia  non esporta nulla. Ma come avrete capito questo non è un post sulle campagne delle linee aeree. A me piacerebbe sentirmi moderno come i turchi, o come i francesi, ma evidentemente sono destinato a rimanere antico. Da noi tutto è rimasto com'era. Perché vedete come è fatto questo lavoro: quando te la passi bene giochi e scherzi con le selfie, ma quando le cose vanno male devi fare finta che tutto sia perfetto come un tempo. Scherzare diventa vietato, e il tono non può scendere di un millimetro. In Italia sta succedendo sempre più spesso, con conseguente impoverimento di chi è pagato per creare idee, ovvero tutte le agenzie e tutte le categorie che con le idee hanno a che fare.
Il grande equivoco è che non è necessario essere un paese ricco o una compagnia ricca per produrre una campagna corporate convincente. Ce ne sono di bellissime costate due soldi: i bravi creativi servono anche/proprio a questo. Non è nemmeno necessario scomodare Messi e Kobe.  Ma questi nostri spot (girati tra l'altro dagli spagnoli) sono la fotografia di un paese ormai disabituato a volare con la propria comunicazione istituzionale. Perché la patria del turismo deve esportare un prodotto così medio, rendendo in qualche modo di riflesso più povero anche me? La rivoluzione creativa (un programma di cui molto si parla in questi giorni, qui trovate il condivisibilissimo manifesto) parte proprio da questo: rendersi conto che un paese che produce belle idee in ogni campo, è un paese più ricco in ogni senso. Ai tempi di mio nonno la pensavano così, e si viveva molto meglio. 

Elvis has left the building.

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